Se di Tommaso Bortolotti possedessimo, ad esempio, un bel ritratto, magari inserito in un'imponente cornice dorata, o se di lui ci fosse pervenuto un ricco epistolario con lettere a familiari, amici e clienti, oppure se, in un vecchio armadio polveroso, venissero ritrovati i progetti del suo bellissimo giardino, potremmo dire con certezza che il fascino esercitato su di noi, frequentatori curiosi di quegli spazi, rimarrebbe il medesimo?
Per quanto la conoscenza sia importante e ogni informazione in più su un'epoca, su un luogo o su una persona siano fondamentali per una più piena comprensione, è indubbio che il non sapere tutto - nel nostro caso il sapere davvero poco - stimola maggiormente la mente e la induce a porsi continue domande, che non è scontato possano avere una risposta.
Non solo. Le ipotesi formulate da studiosi e specialisti possono tranquillamente diventare spunto per giocare un po' con la fantasia e immaginare un passato possibile, ma non certo, e proprio per questo più avvincente.
Ecco allora che visitare il Giardino dei Ciucioi, non è solo approfittare di una preziosa opportunità del nostro territorio, è anche e soprattutto intraprendere un viaggio straordinario, di cui tutti possono essere protagonisti.
Anzi, a ben guardare, i viaggi possibili in questo magico contesto possono essere anche più di uno, perché ognuno di noi ha la possibilità di costruire un proprio ideale itinerario di visita, focalizzando l'attenzione su aspetti diversi e maggiormente in linea con i propri interessi.
Qualunque sia il punto di vista, tuttavia, creatività e mistero accompagnano chiunque voglia addentrarsi in questo luogo singolare, bizzarra e stravagante realizzazione del sogno di un altrettanto originale personaggio, che purtroppo non ha lasciato una documentazione sufficiente a comprendere al meglio la sua vita e la sua opera.
Chi era Tommaso Bortolotti?
La prima e più ovvia esplorazione riguarda la vita del Bortolotti, che non manca di precisi e importanti punti fermi, ma presenta lacune significative, che non permettono di sciogliere dubbi e dare risposte certe alle numerose domande di studiosi e di appassionati.
Tommaso Bortolotti nacque a Lavis nel 1796 da una ricca famiglia borghese, proprietaria di una filanda, nota come Filatoio Bortolotti, dove veniva lavorata la seta. L'enorme caseggiato, tuttora esistente e oggi dipinto di verde, si trova proprio sotto il giardino e apparteneva alla famiglia già dal 1643, quando il mugnaio Giacomo Bortolotti di Vigo Meano comprò il Mulino dal Sale, poi naturalmente Mulino Bortolotti.
Fu proprio grazie a questo acquisto che suo figlio Udalrico ottenne nel 1664 la cittadinanza a Lavis, diventando automaticamente parte della classe dirigente locale. Da quel momento i membri della famiglia Bortolotti ricoprirono spesso incarichi amministrativi all'interno del Comune e parteciparono in maniera attiva alla vita politica del paese.
Tommaso, figlio unico, rimase orfano in giovane età , ereditando dai genitori - Tomaso Andrea Bortolotti e Caterina Brugnara - una vera fortuna, che gli consentì di vivere agiatamente fino alla fine dei suoi giorni.
Non abbiamo notizie sui suoi studi, ma è plausibile che abbia avuto una buona istruzione, sicuramente accresciuta da numerosi viaggi in Italia.
Di lui non conosciamo amori o amicizie, passioni o interessi, ma sappiamo che non si sposò mai, non ebbe mai figli e continuò le attività commerciali del padre.
Le notizie più accurate provengono dall'Archivio Storico del Comune di Lavis, dove viene citato in alcuni documenti, che evidenziano la sua partecipazione, esattamente come già fecero i suoi predecessori, alle vicende della cittadina: nel 1825 diede prova di grande coraggio durante il tremendo incendio del mulino Turin, indispensabile per nutrire la gente del paese; dal 1830 al 1832 fu sindaco di Lavis; nel 1844 divenne ispettore responsabile delle macchine anti-incendio; nel 1848 fu tra i membri del Comitato per l'Autonomia del Trentino dal Tirolo, nato proprio in quell'anno; sempre nel 1848 firmò un documento di protesta dei deputati trentini, che si rifiutarono di partecipare alla Dieta di Innsbruck a causa del numero, ritenuto troppo esiguo, rispetto al deputati tedeschi.
La sua morte, nel 1872, venne infine raccontata, in uno scritto (1927) dedicato al Giardino del Ciucioi, dal Dottor Luigi Sette. Una descrizione forse troppo accurata per essere completamente attendibile, ma che certamente contribuì a fissare nell'immaginario collettivo un evento tragico, ma in fondo anche molto romantico. Il Bortolotti morì durante una giornata tempestosa, quando il giardiniere dimenticò aperti i vetri delle serre. Il vecchio Tommaso prese una scala a piuoli, per chiudere i vetri, ma avendola collocata male, il vento la rovesciò e lo fece precipitare e urtare col capo una pietra.
Sempre il Sette lo descrisse come un vecchio, stanco, sempre vestito accuratamente di nero, ma incredibilmente di lui non ci sono pervenuti né ritratti né tantomeno fotografie e, dunque, è praticamente impossibile essere più accurati. Considerando che il Bortolotti fu un uomo ricco, importante, con un ruolo di primo piano nella cittadinanza è davvero singolare che il suo viso e la sua figura rimangano un assoluto mistero.
Di strettamente personale ci rimangono solo alcuni documenti, conservati negli archivi del Comune di Lavis, e la firma, che oggi vediamo incisa sul parapetto della prima terrazza del Giardino dei Ciucioi e che, grazie ad un'indagine grafologica di qualche anno fa, ha portato all'individuazione di un uomo preciso e meticoloso, molto legato alle tradizioni e alle norme sociali e con un forte senso del dovere; un uomo spavaldo e vanitoso, poco incline alle emozioni, ma comunque impulsivo e determinato a realizzare i suoi progetti; un uomo totalmente privo di manualità , ma attento ai dettagli e amante dell'arte e del bello.
L'analisi minuziosa dell'esperta, tuttavia, non ci può dare - come è ovvio che sia - nessun tipo di informazione sull'aspetto fisico del Bortolotti, che dunque nella nostra mente può assumere le caratteristiche più diverse e diventare uno, dieci, cento personaggi diversi.
Chi mi vieta di immaginarlo come un uomo alto, magro, con i capelli scuri e con un bel paio di baffi a manubrio come si usavano a metà dell'Ottocento? Chi mi dice, invece, che non fosse biondastro, con la pelle chiara e un portamento un po' goffo? E se fosse stato grassoccio, con i capelli ramati e una folta barba che nelle calde giornate estive tratteneva a stento le goccioline di sudore?
Il mio, il nostro, Tommaso potrebbe essere questo, ma anche tanto altro ed ecco allora che il non sapere ci permette di immaginarlo nei modi più svariati e più vicini al nostro gusto e alla nostra sensibilità , facendo di lui il misterioso protagonista di una storia, che ognuno di noi può leggere ed interpretare in maniera diversa.
Anche quell'intraprendenza e quell'indiscutibile creatività , che gli permisero di ideare e di creare un giardino non convenzionale, in fondo possono essere variamente interpretate, perché i dati certi sono troppo pochi e nulla si conosce dei suoi pensieri, delle sue aspirazioni, dei suoi sogni.
Chissà come era visto dai suoi contemporanei! Un ricco capriccioso o un abile commerciante? Un pazzo visionario o un uomo pragmatico e dalle idee chiare? Domande similari hanno senso anche oggi, a distanza di un secolo e mezzo, perché è sempre difficile giudicare l'operato di una persona, quando non si conoscono in maniera approfondita i suoi interessi, la sua formazione, le sue esperienze, le sue motivazioni.
Un'epoca di grandi cambiamenti
Un'altra chiave di lettura, che porta ad ampliare lo sguardo sul periodo storico in cui visse Tommaso, ci permette di intraprendere un viaggio in una terra di confine, dove pian piano si fecero strada le istanze della Rivoluzione Francese e le idee dell'Illuminismo e dove, accanto ad una popolazione prevalentemente fedele all'Impero, iniziò a formarsi una classe dirigente autonomista.
Fu un periodo certamente complesso, caratterizzato da grande instabilità , scandito da numerosi eventi bellici e capovolgimenti politici, sospeso fra tradizione e rinnovamento, tuttavia molto stimolante da un punto di vista culturale.
Il ceto dirigente uscito da un'epoca così articolata fu un’élite agiata, preparata e aperta al mondo, che viveva e agiva soprattutto nelle città . Erano persone abituate a viaggiare, non solo in Italia, e a frequentare i circoli intellettuali. Ricchi borghesi propensi ai cambiamenti, ma sicuramente non rappresentativi della maggior parte della popolazione.
Tommaso Bortolotti iniziò il suo cammino nel mondo nel bel mezzo della prima Campagna d'Italia (1796-1797), cioè quella serie di operazioni militari, che catapultarono il giovane Napoleone nell'Olimpo dei grandi condottieri e che vide schierarsi la maggior parte delle monarchie europee contro la Francia rivoluzionaria.
Anche il Trentino fu colpito in pieno da questi eventi e l'espansionismo francese, che stravolse gli assetti europei e diede il via a mutamenti epocali, fu osteggiato dalla gente comune, che reagì con veemenza non solo alle conquiste napoleoniche, ma anche al diffondersi delle nuove idee. Del resto, fin da subito, i Francesi depredarono le casse civiche e imposero pesanti contribuzioni, dimostrando di non essere poi così illuminati come volevano far credere.
Dopo aver conquistato con una guerra lampo la Lombardia, Napoleone arrivò a Trento il 5 settembre 1796, respingendo l'esercito austriaco e la resistenza della compagnie di Schützen formatesi per difendere i confini, che furono costretti ad arretrare fino a Lavis, dove ebbe luogo un'epica battaglia, ricordata anche al Dôme des Invalides a Parigi (è la prima delle tre battaglie di Lavis).
Il torrente Avisio smise di essere, dopo secoli, il confine tra il Principato Vescovile e il Tirolo e la popolazione dovette ben presto fare i conti con una nuova realtà .
Dopo un paio di mesi l'esercito imperiale riuscì a liberare la regione e i Francesi furono costretti a ripiegare. Fu proprio durante questa ritirata, il 5 novembre, che nacque il Bortolotti.
Questo evento, tuttavia, non ripristinò affatto la situazione precedente, perché la reggenza vescovile fu esautorata e il principato posto sotto sequestro dall'imperatore. Nonostante le motivazioni ufficiali (posizione strategica e inadempienze fiscali) questi territori rappresentarono una sorta di indennizzo ai principi tedeschi spodestati dei loro territori sulla riva sinistra del Reno. Si trattò, in sostanza, dell'inizio di quella secolarizzazione, che si completerà in maniera definitiva nel 1803 e che cancellerà in pochi anni quasi ottocento anni di storia.
Il mondo che i genitori di Tommaso avevano conosciuto di fatto non esisteva più!
Gli esponenti delle borghesie cittadine, che avevano manifestato una certa simpatia per gli eventi e per i rivoluzionari francesi, furono guardati con sospetto e accusati di aver deliberatamente favorito il nemico. Furono ovviamente sostituiti da amministratori imperiali, trentini e roveretani, fedeli alla Casa d’Austria.
Il rientro francese nei territori trentini, altrettanto breve del primo (fine gennaio - aprile 1797) ripropose sostanzialmente gli equilibri della prima occupazione. E ancora una volta la resistenza degli Schützen non si fece attendere. In questo contesto si colloca la seconda battaglia di Lavis.
Il successivo Trattato di Campoformio (17 ottobre 1797) confermò il dominio asburgico tanto sul Principato di Trento quanto sul Tirolo, decretando la soppressione di tutti i principati ecclesiastici.
È interessante ricordare che nel Landesarchiv di Innsbruck sono custoditi moltissimi documenti originali, che fanno riferimento ad abitanti di Lavis durante le invasioni napoleoniche degli anni 1796-1797.
La speranza si riaccese con la nascita di una seconda coalizione antifrancese e con la Campagna d'Italia del 1800. I Francesi, nel gennaio 1801, riconquistarono il Trentino, instaurando per circa un anno un regime capitolare. Anche se la Pace di Luneville aveva confermato la secolarizzazione dei principati ecclesiastici a Trento ci si illudeva ancora di poter ripristinare l'antico ordine, ma il sogno della vecchia classe dirigente trentina, però, durò davvero poco, perché nel novembre 1802 le truppe imperiali ripresero il possesso del territorio.
La fine del Principato Vescovile di Trento fu decretata ufficialmente nel 1803 con il Recesso di Ratisbona. In quell'occasione Napoleone fece sopprimere, con lo scopo di togliere forza alla Casa d'Austria, centododici organi politici. Fu anche la fine del Sacro Romano Impero, che fu dichiarato estinto dall'imperatore Francesco II d'Asburgo nel 1806.
L'inserimento del territori ex vescovili nella provincia tirolese non fece in tempo ad essere avviata che la situazione politica cambiò ulteriormente, perché nel 1805 l'intero Tirolo passò sotto il filonapoleonico regno di Baviera (Pace di Presburgo) e i successivi tre anni furono caratterizzati da un'amministrazione fortemente centralizzata impostata sul modello francese, ma totalmente inadatta ad una popolazione di montagna ricca di tradizioni secolari gelosamente custodite.
La soppressione della Landesordnung (la legge fondamentale del paese) e della dieta provinciale, la sottomissione della chiesa allo stato (in una roccaforte cattolica come il Tirolo), la coscrizione militare, le pesanti manovre fiscali portarono inevitabilmente allo scontro. Nel 1809 la rivolta di Andreas Hofer, ispirata alla tradizione dei Landesschützen, coinvolse non solo i tirolesi tedeschi, ma anche buona parte delle vallate trentine. La città di Trento, sede del quartier generale bavarese, rimase un po' in disparte e, quando le truppe imperiali rientrarono in città , fu nuovamente accusata di collaborazionismo.
Fu il generale Peyri a riportare l'ordine nel Tirolo insorto: alla guida di un contingente franco-italico pose l'assedio a Lavis (2 ottobre 1809, terza battaglia di Lavis). L'esito fu tragico. La descrizione dettagliata di Girolamo Andreis rende benissimo tutta la drammaticità di quell'evento: Ne furono uccisi quaranta a colpi di baionetta nella casa del dazio presso il ponte; quelli che non furono spenti nel furor dell‘assalto, l‘ira vendicatrice del Peyri li condannava a morte: appena cadevano nelle mani nemiche venivano trascinati in vicinanza dell‘antica chiesuola della Madonna di Loreto, avanti le bocche dei fuminanti moschetti.
Fu lo stesso Andreis, verso gli anni '30 dell'Ottocento a scrivere un'opera teatrale, Carlo e Lisetta, ossia la battaglia di Lavis, perfettamente in linea con lo spirito del tempo: una storia d'amore nella cornice di fatti contemporanei realmente accaduti.
La lotta di Andreas Hofer, abbandonato al proprio destino dagli stessi Asburgo, continuò fino al febbraio 1810, quando fu catturato e fucilato a Mantova. Dopo la Pace di Parigi e la riconquista francese gran parte del Trentino (escluso il Primiero) e la zona di Bolzano divennero parte del Regno italico, mentre il resto del Tirolo ritornò alla Baviera.
Fu in questo periodo che venne dato il colpo di grazia agli antichi privilegi feudali. Anche in Trentino si impose, sicuramente a fatica, un ceto borghese dotato di potere economico, ma il sistema centralizzato del Regno e lo scarso rispetto per le peculiarità locali furono poco accetti dalla popolazione che da secoli era abituata a governare autonomamente i propri territori. Non si può, tuttavia, togliere importanza all'opera di svecchiamento delle vecchie strutture di potere che governavano il territorio. Significativo il fatto che, con la Restaurazione (1815), il sistema precedente non fu ripristinato integralmente, ma le modifiche furono fatte all'interno di un ordine che ormai era saldamente statale.
Perché, viene da chiedersi, questa lunga digressione storica? Perché dilungarsi così dettagliatamente su questi fatti? Perché evidenziare tutti i rivolgimenti politici, i cambi di governo, le battaglie? Perché tuffarsi così profondamente in quasi vent'anni di storia regionale?
Semplicemente perché la famiglia di Tommaso Bortolotti, già molto prima della sua nascita, era stata estremamente attiva nella comunità lavisiana, e, a quanto dicono i documenti storici ritrovati, ha continuato ad esserlo anche in questi anni complicati. Egli stesso, poi, una volta diventato adulto, come già accennato, continuò il suo impegno a servizio della cittadina.
Le informazioni relative alla famiglia Bortolotti sono sicuramente limitate, ma certo sono molto significative. Scorrendo l'elenco dei regolani ritroviamo Udalrico (1744) e Tomaso Andrea (1794-1795 e 1800-1801), ma compaiono anche altri Bortolotti. Il padre di Tommaso, inoltre, aveva partecipato in maniera attiva ai torbidi popolari del 1792, ispirati agli ideali della Rivoluzione Francese e per questo dovette scontare anche una settimana di carcere.
Come si può pensare che l'esperienza degli avi non abbia avuto un ruolo preciso nella formazione della sua personalità e del suo pensiero politico? E, allo stesso tempo, come possiamo non considerare che Tommaso visse in un'epoca difficile e imprevedibile, in un clima mutevole, ma forse anche eccitante? Aveva solo tredici anni, quando Andreas Hofer guidò la sua rivolta, diciannove alla caduta di Napoleone e rimase orfano molto presto, garantendosi una disponibilità economica certamente fuori del comune.
In mancanza di informazioni certe si può forse far luce sulla figura misteriosa del Bortolotti, elaborando, con un pizzico di creatività , i pochi dati sicuri, provando ad immaginare un ambiente familiare stimolante, caratterizzato da vivaci scambi di opinioni, anche se non del tutto privo di preoccupazione per una realtà in continua evoluzione e per un futuro forse incerto.
Nulla vieta, nel nostro viaggio a ritroso nel tempo, di figurarsi un giovane Tommaso, appena affacciato alla vita, attento ai discorsi dei genitori e alle chiacchiere di paese, forse ancora un po' impacciato a manifestare le sue idee, ma certo di voler seguire, a tempo debito, le orme di chi lo aveva preceduto.
Tommaso aveva certamente respirato in casa l'atmosfera rivoluzionaria ed aveva imparato dal padre l'arte del commercio, attività che gli diede anche l'occasione di viaggiare e di coltivare relazioni con personaggi contrari alla Restaurazione e ai vincoli che l'aristocrazia poneva. Persone legate a valori quali Liberté, Égalité, Fraternité e avversi a tutto il sistema dell'Ancien Régime, che rallentava la mobilità sociale, ambienti politici e filosofici legati alle logge massoniche che incarnavano lo spirito della Rivoluzione Francese.
Sono solo ipotesi, plausibili certo, ma pur sempre ipotesi, tuttavia il mistero che avvolge la sua figura ci consente di immaginare senza paura di smentite. Del resto, come si diceva all'inizio, ognuno di noi, entrando nel Giardino dei Ciucioi, può scegliere l'approccio che più preferisce per gustare questo incredibile capolavoro e per avvicinarsi all'anima del suo straordinario creatore.
Un tempio laico fra artifici e natura
Un borghese moderno, dunque, il Bortolotti, schierato con gli ambienti progressisti e filoitaliani, decisamente benestante, per non dire ricco, intenzionato a sfruttare al massimo la sua posizione non solo per realizzare i suoi progetti personali, ma anche per far trionfare i suoi ideali.
L'enorme disponibilità economica e la probabile sensibilità ai temi spirituali ed esoterici tipici della Massoneria, assai diffusa anche in Trentino, lo indussero a mettere in cantiere un progetto gigantesco, che lo occupò a tempo pieno per circa vent'anni, dal 1840 al 1860, e nel quale investì circa 60.000 corone, cioè tutto quello che possedeva: la costruzione di un giardino verticale sul modello delle orangeries, che abbellivano le ville ottocentesche.
Tutto era iniziato banalmente, qualche anno prima, con l'abbellimento degli orti di famiglia, vicino alla casa, e la creazione di un giardino romantico, di una vasca per i pesci, di un ponticello e di un gazebo. Poi, nel 1840 appunto, l'idea di acquistare l'ex cava sul versante meridionale del Dos Paion.
Il giardino, di cui non esistono progetti (non si sa se siano andati perduti o se proprio non furono necessari) prese forma, passo dopo passo, quasi una scenografia teatrale, dalla mente visionaria di Tommaso, che non creò semplicemente un luogo ameno, in cui passare piacevolmente le giornate o coltivare le piante, ma diede forma a tutta una serie di spazi, coperti o all'aperto, che probabilmente, visti nel loro insieme, possono essere considerati la rappresentazione di un percorso di iniziazione simile a quello dei giardini massonici.
Anche in questo caso la mancanza di informazioni certe consente solo di fare congetture, ma l'analisi di alcuni elementi portano a pensare che non si tratti solo di coincidenze e che il giardino sia stato davvero concepito come mezzo di crescita interiore e di elevazione personale.
La sua forma piramidale ricorda il noto simbolo massonico, che rappresenta la connessione tra il mondo materiale e quello spirituale. Le sue sette terrazze richiamano il numero sette della cultura esoterica, che rappresenta la perfezione e il completamento. La presenza di una grotta evoca gli incontri clandestini degli iniziati. L'orologio senza lancette nel rosone della chiesa pare la probabile rappresentazione del tempo sospeso, come se dentro il giardino si entrasse in una nuova dimensione.
Quest'opera così imponente, insomma, non sarebbe solo la realizzazione del sogno di un esteta con idee fantasiose, ma risponderebbe alle esigenze di una narrazione fortemente simbolica incisa direttamente nella roccia, in una commistione straordinaria di elementi artificiali ed elementi naturali.
A chi viaggiando sulla ferrovia elettrica Trento-Malè o sulla strada erariale per il Brennero, imbocca il ponte di Lavis, si presenta una fantastica scena di mura merlate, di balconi pensili, di serre e di terrazze che ad onta delle ingiurie del tempo decorano l'ultima falda meridionale del colle detto Il Paion, con una varietà appariscente, anche se non bella, di linee e di colori.
Egli [il Bortolotti] ebbe la ispirazione dal contesto che il romanticismo aveva diffuso sul paesaggio e che vi vedeva l’attrattiva in elementi fantastici un po’ accozzati che avevano rotto le vecchie tradizioni del bel giardino italiano architettonico, che è stato la gloria dell’Italia dal Quattrocento a tutto il Settecento.
Così scrisse nel 1927 il già citato Dottor Luigi Sette a proposito del Giardino dei Ciucioi, raccontando che nel giardino si trovavano magnifiche piante rare ed esotiche in due vaste serre: palme, magnolie, aranci, limoni, nespoli del Giappone ed erbe aromatiche, che forestieri d’alto rango, e principi stessi di case regnanti, che allora transitavano con i cavalli per Lavis, ammirarono sinceramente.
Il giardino, insomma, fu costruito cercando di coniugare le esigenze dell'architettura con quelle del paesaggio. Un lavoro certosino da parte dell'artista-costruttore, che utilizzò i pendii rocciosi del Dos Paion come una tela, dando vita ad una narrazione ricca di simbolismi, senza sacrificare, però, l'aspetto estetico.
Nel Giardino dei Ciucioi il gusto eclettico della prima metà dell'Ottocento e i riferimenti a monumenti ed edifici conosciuti risultano abbastanza evidenti. A differenza di altri giardini, in cui generalmente prevale la componente vegetale, qui le opere in muratura predominano sugli spazi verdi e le superfici verticali superano per estensione quelle orizzontali.
Risulta difficile oggi sapere esattamente quali fossero le piante coltivate dal Bortolotti, è però certo che le sue serre si discostavano totalmente dalle classiche orangeries di quell'epoca, create a puro scopo ornamentale, perché il suo obiettivo era quello di coltivare limoni e, naturalmente, di venderli. Le limonaie, insomma, erano una fonte di reddito come documentano gli atti della Controversia circa il raccolto di limoni della serra Bortolotti, conservati nell’archivio comunale di Lavis, che si riferiscono alla contestazione di una partita di limoni a Bolzano.
La passeggiata all'interno del Giardino dei Ciucioi non inizia esattamente in corrispondenza dell'Antico Ingresso, posto più in basso rispetto al primo terrazzamento e poco distante dall'abitazione del Bortolotti, tuttavia quest'area è ben visibile dall'alto, mostrando chiaramente il forte dislivello fra la proprietà originaria e i terreni acquistati nel 1840.
La necessità di collegare le due parti del giardino diede vita ad un tracciato originale a forma di spirale sviluppato attorno al basamento della cosiddetta Casa del Giardiniere. Un percorso in parte scavato nella roccia, che alterna zone di luce e zone d'ombra e che costituisce probabilmente la prima tappa di quel percorso di iniziazione implicito nella struttura del giardino.
La costruzione, abbracciata dalla rampa in salita, fu più volte modificata e raccoglie locali con funzioni diverse, il più caratteristico dei quali, al piano più basso, era adibito alla conservazione delle sementi, motivo per cui presenta varie aperture per favorire l'areazione.
Nei due piani superiori, oggi, troviamo splendide vedute in bianco e nero dello stesso giardino e di Lavis.
Luogo intimo e protetto da sguardi indiscreti, perché celato dalla Casa del Giardiniere, il Giardino Segreto è l'unico spazio che ne ha davvero le sembianze.
La grande aiuola ben delimitata, l'albero centrale, gli arbusti di contorno hanno come sfondo le architetture gotico-rinascimentali del Palazzo.
Una costruzione su più livelli senza profondità , solo un grande scenario dipinto, un tempo a colori vivaci e dunque molto visibile a chi proveniva da sud. Un palcoscenico, sormontato da una loggia, che mescola stili diversi con il chiaro obiettivo di suscitare meraviglia.
Procedendo si incontra il Giardino d'Inverno, spazio caratteristico dei giardini ottocenteschi, che qui, però, risulta isolato e non funge più da collegamento tra la residenza e gli spazi esterni, confermando l'originalità del Giardino dei Ciucioi.
Era la serra più calda e più riparata, dove venivano ricoverate le piante più delicate e sensibili alle basse temperature.
Sullo stesso terrazzamento, in posizione centrale, si può vedere la ricostruzione della grande Serra, che ospitava le piante di limone.
Le dimensioni di quella originale, smantellata durante la Prima Guerra Mondiale per costruire i baraccamenti dei soldati nella piana dell'Adige, erano molto più imponenti.
Altro luogo non luogo è la Chiesa, semplice facciata a piramide senza alcuno spazio retrostante, cui si accede con due scale in pietra molto ripide e sulle quali i visitatori non possono salire. La sua facciata sfrutta al meglio la conformazione della montagna, diventando un tutt'uno con essa.
La Grotta, totalmente invisibile dall'esterno, fu probabilmente creata, sfruttando un naturale tetto di roccia presente già molto prima della costruzione del giardino. Con l'aggiunta di un pilatro e di due archi ne diventa parte integrante, bilanciando così natura e artificio.
Nel Palazzo il mistero più assoluto avvolge la cosiddetta Sala dei Cavalieri, probabile luogo di incontri segreti. Priva di porte e di finestre, con un importante soffitto con volta a crociera, domina tutto il giardino grazie anche alla terrazza posta esattamente sopra la loggia.
Era forse il punto di arrivo del percorso iniziatico?
Superata la Sala dei Cavalieri la passeggiata porta ad un colonnato su due livelli: quello inferiore detto Criptoportico, che non ha uscite verso l'esterno, presenta quattro finestre dalle quali si ammira un panorama meraviglioso, la Piana Rotaliana e le montagne che le fanno da sfondo, e può essere considerato una sorta di grotta del vento in grado di raccogliere e convogliare l'òra del Garda; quello superiore, che pare ispirarsi agli acquedotti romani, segue alla perfezione il pendio roccioso, integrandosi con esso e diventa il collegamento perfetto con la zona della Torre.
Alle spalle del Palazzo spiccano, in netto contrasto con la sottostante parete affrescata, i sassi a vista di un finto rudere in stile medioevale, il Castello, anche questo elemento comune dei giardini romantici.
I suoi archi arabeggianti, le Scale Moresche e la Terrazza evocano luoghi lontani, ma al tempo stesso catapultano la vista nel paesaggio circostante, che da qui si può ammirare in tutto il suo splendore.
La Torre possente, forse costruita su strutture più antiche, nonostante la presenza di aperture a diverse altezze, non presenta piani intermedi. È un unico ambiente, come un enorme parallelepipedo forato in più punti, che aveva lo scopo di stupire chi guardava dal basso.
Le scale al suo interno sono frutto di un recente restauro e hanno lo scopo di rendere fruibile, nel prossimo futuro, l'accesso alla sommità per poter godere dello straordinario panorama sui dintorni.
Un altro viaggio possibile all'interno del Giardino dei Ciucioi, una diversa angolazione per ammirare questo luogo incredibile, un'ulteriore possibilità di comprendere gli intenti del Bortolotti. Non solo un semplice percorso fra edifici misteriosi e spazi verdi a loro complementari, un continuo salire e scendere o entrare al buio e uscire nella luce, ma anche la ricerca di un equilibrio e di una consapevolezza non ancora acquisita, un itinerario iniziatico che forse oggi si comprende a fatica, ma che allora, ai tempi di Tommaso, doveva essere certamente più leggibile.
C'è un ultimo locale molto particolare, che conclude la visita guidata e che volutamente ho messo da parte. Al tempo stesso ultima tappa e punto di partenza aggiunge un altro tassello a quel mosaico incredibile che è il Giardino dei Ciucioi.
Tecnologia e creatività al servizio di un'idea
La visione del Bortolotti, così originale e così stravagante, dovette scontrarsi con due problemi di ordine pratico: il clima e la mancanza di acqua.
Lavis non ha oggi, come non aveva certo nemmeno in passato, il clima favorevole del Lago di Garda. Coltivare agrumi a queste latitudini non doveva essere facile. Ecco allora l'idea geniale di creare un sistema di riscaldamento per tenere al caldo le piante nei mesi più rigidi.
Le serre, poste non casualmente sui gradoni più alti, sfruttavano la temperatura più mite durante l'inverno e il caldo meno accentuato dei mesi estivi, ma certo tutto ciò non bastava.
Venne quindi ideato un impianto, molto simile a quello utilizzato nei castelli e nei monasteri, e chiaramente ispirato all'hypocaustum romano, in cui l'aria circolava nelle cavità poste sotto il pavimento e nelle pareti.
La grande Serra, poggiava probabilmente su un tavolato di legno e si appoggiava alla parete rocciosa, sfruttandone il calore accumulato. Era dotata anche di un grande camino, tuttora visibile, che appare oggi quasi fuori contesto, più un elemento da salone che da giardino.
Fulcro di questo geniale impianto è la Stanza dei Fuochi, ambiente un tempo inaccessibile ai visitatori, che prende il suo nome dal ritrovamento, durante i lavori di restauro, di una serie di condotte d'aria che portano ai terrazzamenti superiori, alcune chiaramente visibili. L'ipotesi più credibile è che la sala fosse destinata alla produzione dell'aria calda.
La mancanza di un camino e di tracce di fumo fanno pensare che l'aria fosse prodotta grazie ad una stufa in maiolica verde e bianca, di cui si sono ritrovati i frammenti, oppure grazie ad un sistema mobile, di cui però si è persa traccia.
La presenza di una grondaia invece porta ad ipotizzare l'esistenza di un sistema efficiente per raccogliere la condensa.
Il secondo problema pratico che Tommaso dovette risolvere fu quello di avere acqua a sufficienza per annaffiare le numerosissime piante, perché il terreno roccioso sul quale il giardino fu costruito non poteva certo favorire l'operazione. Inoltre la raccolta dell'acqua piovana non era sufficiente al fabbisogno quotidiano.
Per questo motivo venne creato un impianto di irrigazione, di cui vediamo ancora le tracce (fori nei muri, canalette), ma sul quale purtroppo abbiamo pochissime informazioni e che ancora oggi rimane un mistero.
Come venivano riempite le numerose vasche sparse sui vari terrazzamenti e l'enorme cisterna?
L'Avisio, che scorre ai piedi del giardino, all'epoca del Bortolotti aveva certamente una portata maggiore rispetto ad oggi, visto che la Serra di S. Giorgio, poco a monte di Lavis, fu costruita più tardi, tra il 1880 e il 1886, ma rimaneva comunque da risolvere il problema della distanza del torrente dal giardino.
Come veniva fatta arrivare l'acqua? La creatività del Bortolotti certamente aveva risolto il problema, visto che ci sono testimonianze che attestano la presenza di un impianto irriguo, ma sul come non è ancora possibile fare chiarezza.
Un altro mistero tuttora da risolvere è la presenza di enormi massi collocati all'interno della muratura. Come è stato possibile traportarli così in alto? Con quali mezzi sono stati spostati? Come sono stati fissati, diventando parte integrante delle architetture del giardino?
Tentare di rispondere a questi quesiti, cercare di capire il funzionamento degli impianti, studiare le soluzioni, spesso all'avanguardia, del Bortolotti ci permette di affrontare un altro tipo di viaggio in questo luogo incantato, più affine alle menti razionali di chi ama la tecnologia e la scienza.
Il patrimonio vegetale
Il Giardino dei Ciucioi, naturalmente, può essere analizzato e visitato con un occhio di riguardo alla sua straordinaria vegetazione e alle coltivazioni passate e presenti.
Non è facile ricostruire la lista precisa delle piante qui coltivate dal Bortolotti, perché non esistono fotografie che ritraggono con precisione le varie specie e la loro collocazione, si è potuto tuttavia farsi un'idea grazie ai pochi documenti storici ritrovati e all'analisi delle caratteristiche del luogo, che fanno pensare a piante mediterranee ed esotiche, siepi e bordure, aiuole con fioriture stagionali. Gli alberi erano pochi, ma degna di nota era la collezione di limoni ed agrumi.
Moltissime piante venivano coltivate in vaso e questo è dimostrato dal ritrovamento di una grande quantità di cocci, alcuni dei quali numerati. La presenza di numeri superiori al quattrocento fa pensare che i vasi fossero parecchi e che esistesse una vera e propria lista dei tipi di piante e della loro posizione nel giardino.
La recente riqualificazione, che è stata e viene tuttora portata avanti in maniera il più possibile fedele alle indicazioni fornite dalla fitocronologia botanica, ha visto mettere a dimora più di duemila piante appartenenti a centoventi specie diverse, moltissime bulbose (come i narcisi e gli iris) e piante da fiore annuali. Non mancano le piante aromatiche (come l'elicriso o la santolina), le succulente e le grasse, ma anche le rose e i rampicanti.
Se all'esterno colpisce l'abbondanza dei limoni, particolarmente suggestiva e davvero inaspettata è la preziosa raccolta di agrumi, antichi e particolari, visibile dentro la serra. La mancanza di informazioni precise sulle tipologie amate da Tommaso ha indotto i curatori del giardino ad allestire una collezione dimostrativa, ma estremamente interessante.
Le specie coltivate - alcune note, altre una novità assoluta per i visitatori - sono un vero spettacolo per gli occhi: il pomelo, il limone volkameriano, il limone bergamotto, il pompelmo rosa, il mandarino calamondino, il limone bizzarria e il mani di Buddha, l'arancio incanellato, il finger lime. Un tripudio di colore in una giornata marzolina un po' coperta.
Il giardino ieri, oggi, domani
Con la morte di Tommaso Bortolotti, il giardino iniziò la sue lenta ed inesorabile parabola discendente, cambiando più volte proprietario.
La magnifica fotografia di Giovanni Battista Unterveger, celebre fotografo trentino vissuto a cavallo fra Otto e Novecento, scattata nel periodo compreso fra 1862 e 1880 ci mostra, anche se non in primo piano, il giardino in anni abbastanza vicini alla morte del Bortolotti.
È una testimonianza straordinaria, che non solo ci consente di avere un'idea precisa del suo aspetto nel momento del suo massimo splendore, ma ci mostra anche chiaramente la fragilità degli argini del Torrente Avisio in quell'epoca, facendoci intuire i problemi che esso creava ad ogni alluvione. Solo con la costruzione della diga a monte dell'abitato di Lavis, cui ho già accennato, si pose fine ad una lotta con le acque durata per secoli.
Il giardino fu inizialmente rilevato dal Comune di Lavis, che si incaricò anche di pagare i creditori, mettendo all'asta l'ultimo raccolto di limoni.
Prese poi il nome di Villa Marchi, quando Pietro Marchi lo acquistò all'asta e iniziò ad utilizzarlo per coltivare le viti.
Successivamente passò a Bartalo Tomasi e poi ad Ottavia Carli.
Durante la Prima Guerra Mondiale il giardino venne devastato dai soldati austriaci un po' per divertimento (fecero scoppiare una bomba che danneggiò la Torre), un po' per necessità (molti materiali vennero recuperati per costruire i loro baraccamenti).
Una fotografia postbellica (1918) ci mostra il giardino già abbandonato e occupato da vigneti.
Il degrado avanzò inesorabile, favorito anche dalla posizione soleggiata, che favorì la crescita delle piante infestanti. Le terrazze più basse vennero utilizzate dagli abitanti del paese come orti e i bambini ne fecero terreno di gioco fino ad anni recenti. Alcune frane durante l'alluvione del 1966 diedero il colpo di grazia.
Nel 1999 il Comune di Lavis acquistò nuovamente il giardino ed iniziò qualche anno dopo (2002) i gravosi lavori di restauro, consegnandolo di nuovo alla comunità nel 2019.
Oggi il giardino è accessibile e visitabile quasi totalmente ed è gestito dall'Ecomuseo Argentario, che spesso vi organizza eventi di incredibile suggestione.
Chissà che cosa penserebbe oggi il nostro Tommaso, vedendo il suo giardino rinato e valorizzato come merita.
Luogo antico dal nome strano, che evoca l'antica dogana (Zum Zoll = al dazio), confine fra le genti tedesche e quelle italiane, il Giardino dei Ciucioi è un concentrato di storia, architettura, tecnologia e botanica, che nella sua rinnovata magnificenza attira gli appassionati di esoterismo e gli amanti dei misteri, ma anche, più semplicemente, grandi e piccini desiderosi di trascorrere una giornata in un luogo magico.
Che personaggio che doveva essere Tommaso Bortolotti! Bellissima scoperta la tua.
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